Le origini – Fiumedinisi tra storia, leggenda e attualità (in pillole)

Il primo nucleo abitato risale al 1200 a.C fondato dai Siculi nei pressi del monte Belvedere, esattamente nella piana Chiusa, come è emerso da scavi archeologici effettuati nel secolo scorso.

Notizia più certe si hanno sul centro abitato intorno all’anno 1000 a.C., quando i siculi fuggiti dall’Italia si insediarono nella Sicilia orientale attribuendo a questo popolo la fondazione del primo insediamento umano nella piana Chiusa che, in seguito, assumerà il nome di Nisa.

Dopo i Siculi, già distribuiti sul territorio, si hanno notizie storiche della colonizzazione da parte dei greci intorno al IX sec a.C.

L’impronta che i Greci hanno lasciato è stata talmente intensa e qualificata da farle rivivere ancora oggi in talune espressioni dialettali e in quelle meravigliose opere che hanno scavalcato i secoli.

È noto che alla poetessa Saffo piacessero le donne, ma non è altrettanto noto che, proprio verso la fine della vita, perse la testa per un uomo, Faone, un anziano barcaiolo che trasportava i turisti dall’isola di Leucade a Lesbo. Un giorno una vecchietta gli chiese un passaggio e lui, nel vederla quasi piegata in due, ne ebbe compassione, motivo per cui la trasportò gratis. Quella vecchietta era Afrodite in persona, che, per premiare il suo generoso gesto, gli regalò una pomata miracolosa capace di trasformarlo in un giovane di eccezionale bellezza. Di Faone si innamorarono tutte le dame di Lesbo e, tra queste, anche la poetessa Saffo. Faone, resosi conto che a Lesbo poteva cambiare una dama al giorno, dopo una breve storia di sesso con Saffo (considerata all’epoca la poetessa erotica per eccellenza), la lascia di brutto e se ne va sbarcando nella Sicilia orientale  ove conobbe una dama siciliana dai capelli ricci e, da lì, sembra aver proseguito verso Occidente dell’isola, arrivando a Nisi dove s’innamorò di una pastorella. La poetessa, non reggendo al dolore, si gettò dalla rupe più alta della Leucade.

Successivamente, la Sicilia venne conquistata dai Romani nel corso della prima Guerra Punica (264 – 241 a.C.). La dominazione romana, pur schiavizzando, sotto l’aspetto tributario, l’Isola, contribuì a renderla florida, dando ampio respiro all’agricoltura e costruendo strade, acquedotti e altre importanti opere edilizie ed infrastrutturali.

Dopo la caduta dell’Impero romano, la Sicilia diventò teatro di molte invasioni, conquistata prima dai Bizantini e successivamente dai Goti, dai Vandali e dopo dagli Arabi.

Quest’ultimo dominio fu il più illuminato per creatività e fecondità (ad esempio, la coltivazione degli agrumi lungo la vallata è stata loro opera).

Di Nisa, dopo la caduta dell’Impero e fino alla venuta degli Arabi in Sicilia,  non si hanno più notizie.

Furono gli Arabi (827-1091) a rendere più importante il centro di Nisa. Essi iniziarono a spostare il centro abitato di piano Chiusa più a valle, dove ora sorge il paese.

Molti storici attribuiscono agli Arabi l’edificazione del castello Belvedere che domina non solo la vallata, ma l’intera costa da capo Alì a capo Sant’Alessio.

Gli Arabi in Sicilia furono scacciati dai Normanni su mandato di papa Nicola II, che proclamò nel 1072, a Palermo, Ruggero d’Altavilla conte di Sicilia.

I Normanni diedero inizio ad uno dei periodi più prosperi della Sicilia.

Estintasi la dinastia dei Normanni, che non ebbe discendenti maschi, la sola legittima erede fu la figlia di Guglielmo II, Costanza d’Altavilla, che andò in sposa a Enrico VI, con il quale si istaurò la dinastia Svevo/Normanna.

Si hanno notizie storiche della presenza a Fiumedinisi di Enrico VI durante il suo viaggio per l’inaugurazione del Duomo di Messina. Si suppone sia stato ospitato nel Castello, dove si sarebbero aggravate le sue condizioni di salute che lo portarono alla morte nel 1197.

Lo spostamento del paese iniziato dagli Arabi fu completato dai Normanni che modificarono la denominazione in Flumen Dionisii.

A Enrico VI succedette il figlio ancora bambino, Federico II, proclamato imperatore nel 1211, che fu un sovrano illuminato (stupor mundi).

Nel 1392 Fiumedinisi divenne feudo della famiglia Colonna Romano sotto il cui dominio feudale il paese è caratterizzato da un ampio splendore.

Qui di seguito vengono indicati i tre Colonna che segnarono l’inizio e la fine del baronato e l’inizio e la fine del marchesato:

  • Tommaso, I barone di Fiumedinisi con privilegio del 15/5/1392;
  • Calogero Gabriele, XIV ed ultimo barone di Fiumedinisi e I marchese (il 30 luglio 1740 si passò dal baronato al marchesato);
  • Giovanni Antonio (1878-1940) VII ed ultimo marchese di Fiumedinisi. È stato deputato al Parlamento italiano dal 1913 e ministro delle Poste nel 1924. È venuto a Fiumedinisi in occasione di una delle proteste per impedire la captazione delle acque Sambuco e Lamari nell’acquedotto della Santissima;
  • L’attuale rappresentante della famiglia è Marcantonio, sposato con una nobile libanese e con figli.

Durante la rivolta antispagnola di Messina nel 1674, Fiumedinisi rimase fedele agli spagnoli e per tale motivo fu saccheggiata dai messinesi che depredarono ovunque, commettendo sulla popolazione eccessi inenarrabili. La ricostruzione del paese avvenne ad opera di Carlo V che espresse la sua gratitudine con un messaggio impresso su una lastra marmorea ancora oggi leggibile sul prospetto principale della Chiesa Madre. Risale a questo periodo l’istituzione della “Vara” su concessione di Carlo V (cfr. foto).

Nel 1743 Fiumedinisi fu pesantemente colpito da un’epidemia di peste. Successivamente, nel 1855, fu devastato profondamente da un’alluvione che causò la perdita di importanti strutture produttive tra le quali la fabbrica di Mussola (occupava ca 1000 u.l.), la fonderia e lo stabilimento cartaceo di San Giorgio che subì danni rilevanti, ma non fu distrutto.

Monte Scuderi/Santissima

Sorge a 1253 m.s.l.m. ed è la seconda vetta per altitudine dopo Pizzo Poverello, che misura 1.279 m.s.l.m., della catena dei monti Peloritani.

Attualmente ricade nei territori dei comuni di Alì e Fiumedinisi

Secondo la leggenda della “trovatura”, il ritrovamento avrebbe risolto i problemi economici, non solo di Fiumedinisi ed Alì, ma dell’intera Sicilia.

Dal vasto pianoro del monte è possibile ammirare un ampio panorama dello Stretto di Messina, oltre parti della riviera Jonica e Tirrenica.

Dalle sue viscere sgorgano le sorgenti Canalaci, Scorciaboi, Acquapirara, Lauro, Cardia, Battaccio e Paratore che alimentano il torrente Soldato che, insieme al torrente Vacco, è il principale affluente del fiume di Fiumedinisi.

Sul lato opposto al mitico Monte e alle pendici del Pizzo Poverello è adagiata la vallata della Santissima, detta anche “Valle degli Eremiti”, ove insistono delle grotte, cui si può accedere con funi. Queste grotte venivano utilizzate dai monaci per praticare la penitenza; ultimo di questi monaci è stato padre Pagano, detto “patri Pavanu”, e risale a circa la metà del XIX sec.

Nell’antico possedimento basiliano insisteva un convento del quale ancora oggi si scorgono i ruderi.

Secondo il detto popolare,  sono stati edificati tre luoghi sacri, due sarebbero crollati (si scorgono i muri) e, l’ultimo, edificato nel XX sec. è aperto al culto. L’inizio del culto della SS. Trinità, su impulso dei monaci basiliani, risalirebbe al 1500 e si festeggia annualmente la prima domenica di Settembre.

Dal 1929 le due sorgenti, Sambuco e Lamari, alimentano l’acquedotto, a suo tempo molto contestato, della Santissima.

Riserva naturale orientata “Fiumedinisi – Monte Scuderi”

Istituita nel 1998, è attualmente gestita dall’Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana. Ricade nei territori di Fiumedinisi, Alì, Nizza di Sicilia, Itala, San Pier Niceto, Monforte san Giorgio e Santa Lucia del Mela (Peloritani centrali) per una superfice complessiva protetta di ha 4.609,45 (kmq 4,6) suddivisa in due fasce, A e B. L’area è rinomata per la presenza di minerali (ferro, argento, piombo, zinco, tungsteno e rame con tracce di uranio). Inoltre, l’area è ricca di corsi d’acqua.

La vegetazione è caratterizzata da pioppo nero, oleandro, salici, olmo campestre, noce, castagno, nocciole, gelso nero, bagaloro, alloro, erica arborea.

La fauna è composta da: conigli, lepri, gatti selvatici (in estinzione), istrice, riccio europeo, donnola, cinghiale e uccelli quali l’allocco, lo sparviero, il barbagianni, la civetta e il falco pellegrino. L’aquila si è estinta per mano dell’uomo negli anni ’60.

Centro abitato

Il paese dista km 6 dalla SS. 114 Orientale Sicula e si trova a 200 m s.l.m.

La popolazione al 1 gennaio 2019 conta c.a. n. 1.362 abitanti; nel 1980, n. 2.040; nel 1991, n. 1.912; nel 2001, n. 1.679 e nel 2011, n. 1.559. Ha raggiunto il massimo di quasi n. 4.000 abitanti nel 1901 (cfr. grafico che segue).

 

La continua decrescita demografica è evidente. A questo declino si accompagna quello economico/sociale della comunità. Le cause sono da ricercarsi principalmente nel sistema Italia, di fatto strutturato per agevolare lo spopolamento dei paesi collinari e montani e nell’imperizia degli amministratori locali, sprovvisti di una visione globale e di lungo periodo, orientata, invece, al ricorso a finanziamenti milionari per realizzare opere inutili, quando non dannose, estranee all’interesse di questi centri, in buona parte estinti o in fase di estinzione.

Significativi edifici di pregio religioso, storico e culturale, sono:

  • Chiesa Madre dedicata all’Annunciazione di Maria;
  • Chiesa di San Pietro;
  • Chiesa di San Nicola;
  • Chiesa S. Anna (Nunziatella);
  • Chiesa del Carmine;
  • Chiesa Madonna delle Grazie;
  • Chiesa S. Antonio Abate;
  • Chiesa S.S. Trinità;
  • Castello Belvedere;
  • Palazzo della Zecca;
  • Fontana Matrice;
  • Palazzo Scullica
  • Palazzo Interdonato.

 

Il Santuario Maria SS. Annunziata (Chiesa Madre) fu costruito nel XII sec. e ampliato nella metà del XV sec.

Da un manoscritto del 1594 risultava amministrato da due sacerdoti e da diaconi e suddiaconi che sovraintendevano a molte chiesette sparse nel territorio.

Le autorità spagnole dedicarono il nuovo tempio alla Beata Vergine della Purificazione, ovvero alla Candelora che veniva festeggiata il 2 febbraio.

Nel 1635 fu edificato il campanile. Il monumento fu gravemente danneggiato dall’assedio di Messina nell’ottobre del 1676 e poi da un incendio divampato accidentalmente nella notte del 25 marzo 1908 che distrusse molte opere d’arte. Dopo il restauro la chiesa fu dedicata a Maria SS. Annunziata ed il 25 marzo 1976 elevata a Santuario Diocesano.

 

 

 

La chiesa di San Pietro fu edificata nel XII sec.  e nel XVI sec. fu notevolmente ampliata e abbellita.

Era amministrata da un parroco, da tre chierici e da due sacerdoti sotto ministranti.

L’elemento che ha più importanza storica è il suo campanile, oggi non praticabile, che, inizialmente era adibito a torre di avvistamento. Nel 1730,

dopo il completamento dei lavori di restauro e ampliamento della chiesa, la torre venne annessa alla chiesa stessa, assumendo la funzione di

campanile.  Da apprezzare, in particolare, l’intreccio di una grata in ferro battuto e l’orologio.

 

 

 

La chiesa di San Nicola di Bari è una della più antiche. Sorge nella via principale dell’antico centro storico e, in base alla testimonianze tramandate da padre in figlio, si ritiene che fosse, nel periodo medievale, la chiesa principale del paese. Per tradizione la chiesa è depositaria di alcuni pezzi della Vara e sul suo sagrato ha luogo la prima funzione religiosa della “Grande Festa” da dove parte il corteo dei devoti portatori della Vara in costume unitamente ai bambini che dovranno salire sulla stessa.

La festa della Vara si celebra mediamente ogni 4 anni (fino agli anni ’60 ogni 8), originariamente nella settimana successiva (venerdì, sabato e domenica) alla festa Vara di Messina. Da circa un ventennio, la Festa è stata anticipata alla settimana antecedente quella di Messina per motivi meteorologici.

 

 

 

La chiesa di Sant’Anna (Nunziatella) fu edificata intorno al XII sec. quasi a metà strada per Fiumedinisi salendo da Nizza di Sicilia. La chiesa, a causa della sua posizione isolata, è stata oggetto di furti sacrileghi e di atti vandalici. L’edificio sacro venne restaurato e ridotto di dimensioni nel XIX sec. e continua a mantenere un ruolo importante nella festività dell’Annunciazione (24 e 25 marzo di ogni anno) e della

grande festa della Vara.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La chiesa della Beata Vergine del Carmine fu costruita nel 1679 nel punto più alto del centro abitato ed è attualmente aperta al culto.

 

 

 

 

 

 

 

La chiesa della Madonna delle Grazie trovasi all’inizio del paese proprio sotto il cimitero. Fu edificata nel XVII sec. e sul sagrato vengono benedette le anime dei defunti prima della sepoltura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La chiesa di Sant’Antonio Abate è situata in c.da Motta, di costruzione assai modesta (1600 ca) e mal ridotta, viene celebrata la S. Messa il 17 gennaio, anniversario del Santo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La chiesa della SS. Trinità è un’altra tipica chiesetta rurale ricadente in un fondo di proprietà privata della c.da Santissima. Da oltre 400 anni è meta di pellegrinaggio ogni anno tra il sabato e la prima domenica del mese di settembre.

 

 

 

Il Castello Belvedere, cosiddetto per l’incantevole posizione che domina la riviera jonica da Capo Alì a Capo Sant’Alessio, fu edificato dagli Arabi nel IX

sec. sui resti di un preesistente tempio costruito dai coloni greci per venerare Dionisio. I normanni, successori in Sicilia degli Arabi, lo ampliarono, lo modificarono e lo adibirono a residenza del signore del luogo.

Nel 1197 il castello ospitò l’Imperatore Enrico VI, ma la venuta a Fiumedinisi coincise con la sua prematura scomparsa.

Una galleria sotterranea dalle miniere San Carlo conduce al Castello, ma già dal 1889 non era più praticabile. Una remota leggenda vuole che nei sotterranei del Castello si trovi un antico tesoro.

Il castello, dopo il 1900, venne donato al Comune di Fiumedinisi dal duca Giovanni Antonio Colonna Romano.

 

 

 

 

Il Palazzo della Zecca, costruito nel 1669 nel periodo più florido del paese per l’intensificarsi dell’attività mineraria del territorio. Secondo la tradizione, la Zecca dovette funzionare per poco tempo  durante il periodo della rivolta antispagnola a causa dell’impossibilità di utilizzo della Zecca Reale di Messina. Nel XIX sec. il palazzo fu frazionato e venduto per civili abitazioni, tranne nella sua parte principale che è stata acquista dal Comune e restaurata (malissimo) circa 20 anni fa e dal mese di agosto 2019 adibita a museo etno antropologico. (foto riferita al sito originario).

 

 

 

 

 

 

La fontana Matrice si trova nella piazza principale del paese. E’ stata donata dalla famiglia Colonna-Romano, duchi di Cesarò e marchesi di Fiumedinisi. La costruzione (assemblata) risale alla fine del XVIII sec.

 

 

 

 

Palazzo Scullica

Si ritiene che sia stato edificato nella prima metà del XVIII sec. ed è l’unico palazzo gentilizio con pregi costruttivi confacenti con l’economia del paese, che non ha subito, fino ad oggi, interventi manutentivi deturpanti.

Nel mese di luglio dell’anno 1926, un’ala del palazzo è stata venduta dagli Scullica al notaio Schirò, che ad oggi rimane di proprietà dei nipoti, Carmelo e Rosalia.

L’altra ala, Antonino Scullica la donò alla figlia Peppina, che l’accudì fino alla morte (1936). Donna Peppina Scullica Verardi, che ha sposato il dott. Giuseppe Grasso, farmacista del paese, con bottega farmaceutica al p.t. del palazzo, dove ancora si trova (2020), vi dimorò, alternandosi con la residenza di Messina fino a qualche decennio prima della sua morte (1986), lasciando la proprietà alla tre figlie femmine che ancora la mantengono.

La presenza della famiglia Scullica a Fiumedinisi risale al 1680, quando Mario Scullica, facoltoso commerciante di stoffe a Messina, fu chiamato dal duca di Cesarò, Colonna Romano, per amministrare i beni del ducato, ma si ritiene più verosimile quelli del baronato di Fiumedinisi.

L’incarico fu accettato, dopo un anno di prova, nel 1681 e durò fino al 1820, quando Antonio Scullica, sindaco di Fiumedinisi, vi rinunciò.

Con il prof. Francesco Scullica (anni ’20 del secolo scorso), la residenza a Messina dei discendenti maschi diviene definitiva. Il prof. Luigi, figlio di Francesco, da qualche lustro ha venduto gli ultimi beni di famiglia rimasti a Fiumedinisi e ad Alì Terme.

 

 

 

 

Palazzo Interdonato

Denominato anche “Castello Interdonato”, si trova nel Comune di Alì Terme, in contrada Reitana, salendo lungo la sponda destra del fiume Nisi. L’edificio fu realizzato in due periodi diversi, intorno alla seconda metà del XVII.

Don Gregorio Interdonato, nobile Messinese, secondo antichi manoscritti, avendo posato stanza nei comuni della fascia jonica tra Ali Terme, Fiumedinisi e Roccalumera, fece realizzare la parte bassa dell’edificio, successivamente tra la fine del XVII  e inizio XVIII, Don Paolo Interdonato che risiedeva in Roccalumera completò e ultimò la realizzazione dell’edificio che aveva sembianze di un castelletto di campagna, ed è proprio qui che Don Giovanni Interdonato, colonnello garibaldino, figlio di Don Paolo, terminata l’epopea Garibaldina che lo vide agire sempre in prima linea, ritiratosi a vita privata tra la casa natale in Nizza di Sicilia e la sua tenuta di Reitana di Ali Terme  creò, intorno al 1865, il limone che da lui prende il nome, “LIMONE INTERDONATO” per l’appunto. Ancora oggi in Ali Terme, contrada Reitana, insistono le piante madri dello stesso agrume.

 

 

 

 

 

Attività fino agli anni ’70

  • Mineraria: fino agli inizi degli anni ’60 finanziata dalla Regione Sicilia;
  • Agricoltura: fino alla età degli anni ’70 vi era una ricca produzione per il mercato di frutta secca (castagne, noci, nocciole, mandorle), verde (ciliegie, nespole, albicocche, prugne), alberi d’ulivo (vi erano due frantoi alla fine degli anni ’50 e, successivamente, uno fino alla fine degli anni ‘70), grano (tre mulini ad acqua fino alla fine degli anni ‘60), ortaggi. Queste ultime produzioni erano prevalentemente destinate al consumo familiare. La produzione principale riguardava e riguarda anche oggi, sia pure in misura minore, il limone “Interdonato” o “fino” che deriva dall’innesto realizzato dal colonnello garibaldino di Nizza di Sicilia, Giovanni Interdonato; questa produzione agrumicola costituiva, insieme ai prodotti della pastorizia, il volano economico basilare del territorio nisano;
  • Silvicoltura: una buona produzione di legname (pioppo, castagno, quercia, erica, noce) proseguita fino alla fine degli anni ‘80;
  • Pastorizia: come già accennato, insieme alla produzione del limone “Interdonato” o “fino”, i prodotti della pastorizia (carne e derivati del latte), costituivano la principale risorsa economica per il territorio.
  • Nel settore secondario e in quello terziario vi era una buona e qualificata presenza di artigiani (falegnami, stagnini, calzolai, barbieri e muratori) ed una sviluppata rete di distribuzione commerciale.

Attività dagli anni ’80 ad oggi

Da alcuni anni vi è da registrare una significativa ripresa, sia pure con affanno, della produzione del limone “Interdonato” o “fino”. Vi sono n. 3/4 allevamenti con annesso laboratorio per la trasformazione del latte, ed altri piccoli allevatori poco significativi per la produzione di sola carne ovi/caprina. Gli artigiani sono quasi inesistenti, e la distribuzione commerciale (tranne i locali di ristorazione che abbondano) è vicina all’estinzione. Qualche azienda di produzione intensiva di animali da carne e due aziende agricole significativamente organizzate. Non vi sono altre attività significative.